La legge fallimentare del 1942  [lt modifica]
Il piccolo imprenditore era definito anche dalla legge fallimentare, che utilizzava un criterio quantitativo ai fini della individuazione della relativa figura, e quindi con un criterio radicalmente diverso da quello fissato dal codice civile, fondato invece su un criterio di tipo qualitativo.
L’ art. 1, comma 2°, l.fall. stabiliva:
«Sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti una attività commerciale, i quali sono stati riconosciuti, in sede di accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, titolari di un reddito inferiore al minimo imponibile. Quando è mancato l’accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti una attività commerciale nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore a lire ventimila. In nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali».
Il limite originario del capitale investito era stato successivamente aggiornato a novecentomila lire dalla legge 20 ottobre 1952, n. 1375.

L’art. 2083 c.c. definisce piccoli imprenditori:

il coltivatore diretto del fondo;
l’artigiano;
il piccolo commerciante;
coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della propria lt famiglia.
Perché si abbia impresa di piccole dimensioni è dunque necessario:
che l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa;
che il lavoro dell’imprenditore e dei suoi familiari prevalga sia rispetto ad eventuali prestazioni lavorative di terzi sia rispetto al fattore capitale.
Secondo un orientamento, il coltivatore diretto e il piccolo commerciante sarebbero per definizione piccoli imprenditori a prescindere dal rispetto del criterio della prevalenza. Un altro orientamento ritiene il criterio applicabile anche a questi, dato che la categoria finale funge da norma di chiusura del sistema.
Per valutare la prevalenza bisogna adottare un criterio qualitativo-funzionale, ossia la posizione effettiva dell’imprenditore all’interno dell’impresa. Pertanto, non sarà mai qualificabile come piccolo imprenditore colui che, pur esercitando l’attività esclusivamente con il proprio lavoro, utilizza ingenti investimenti di capitale anche se non si avvale di alcun collaboratore.
Al piccolo imprenditore si applica la disciplina generale sull’impresa ma non lo statuto dell’imprenditore commerciale: egli è dunque esonerato dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili (art. 2214,3° comma, c.c.) e, in caso d’insolvenza, dall’assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali (art. 2221 c.c.). Dopo l’istituzione del Registro delle imprese ad opera della legge n. 580/93, il piccolo imprenditore deve iscriversi nella sezione speciale di detto registro con efficacia di pubblicità notizia e certificazione anagrafica. Inoltre, al piccolo imprenditore non si applica la norma speciale che consente, in deroga alla regola generale, la sopravvivenza della proposta o dell’accettazione contrattuale alla morte o alla sopravvenuta incapacità dell’imprenditore medesimo (art. 1330 c.c.).

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